Silvianucini

@silvia_nucini

Ogni martedi do “Voce ai libri”un podcast di @choramedia . Ogni mese ho un dubbio su @marieclaireitalia Ogni tanto torno a casa @vanityfairitalia
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Quando le edicole hanno chiuso noi, per vendere a costo zero la nostra firma e i nostri pensieri abbiamo aperto profili social. L’autopromozione è tutto, l’algoritmo comanda e si mangia te e il tempo, il tuo. Per costruirsi un brand va bene qualsiasi cosa: case, auto, fogli di giornale. Pensieri di una trapezista che vorrebbe essere altrove. Grazie a @fraoggiano che il mezzo lo padroneggia e mi ha spiegato come, a @pg_paologiordano che ha capito che la partita con i social è persa e a @jonathanbazzi che cerca un modo. Grazie a @annalenabenini che quando mi arrovello su qualcosa mi dà uno spazio dove ragionarci. #Review @ilfoglio
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2 giorni fa
Nel tempo ho capito una cosa: quando una persona ha una passione vera, è molto probabile che ne abbia due. E che le coltivi entrambe con la stessa dedizione, maniacalità, amore. Ho invitato cinque scrittori a raccontarmi la loro “altra” passione (la prima diamo per scontato sia la scrittura, ma chissà). Cinque mezz’ore in cui i libri staranno sullo sfondo, dietro a chi li scrive. Cinque scuse per parlare di ciò che ci interessa sempre davvero: provare ad essere felici. Vi aspetto al Salone del Libro di Torino 2024. Allo stand di Chora e Will, padiglione Oval, le coordinate della battaglia navale le trovate nella foto (Se vi piace rifacciamo l’anno prossimo e li intervisti tutti!)
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1 mese fa
Non mi ricordo se sono stata ai funerali di mia nonna Ester. Il che è strano perché quando è morta avevo 28 anni ed ero incinta. E mentre ricordo ogni piccolo cambiamento che la gravidanza procurava al mio corpo e al mio umore, non ho nessuna memoria di quel giorno. So per certo di non essere mai andata sulla sua tomba, il che è ancora più strano perché lei per me è stata come una madre, essendo la mia, di madre, ai tempi della mia infanzia molto giovane e molto presa dal lavoro e dalla vita in generale. Sono andata ai funerali a cui era indispensabile andare (ma non quello di mia nonna?) distinguendo molto bene il dolore di chi rimaneva e la formalità. I funerali, i cimiteri, mi sono sempre sembrati una formalità: il prete che dice cose un po’ a caso, i becchini con la faccia triste ad arte. Il dolore quello no, non mi è mai sembrato una formalità. Penso spesso (ho scritto spesso, ma quanto è spesso?) a chi ho perso ma non avevo mai riflettuto sul fatto che questo mio pensare è casuale, disordinato e non ha nessuna ritualità, nessun luogo in cui celebrare quelle mancanze. Ci ho pensato camminando a piedi per un paio di chilometri dopo aver parlato con Cristina al bar dello Strehler. Cristina, oltre a essere una mia ex collega capellona, ballerina e runner, adesso si occupa di rituali di commiato. È molto interessante quello che fa, e sentirla parlare di morte ti fa venire voglia di vita, di una vita ben spesa, di abbracciare la gente, di non scappare davanti al dolore degli altri. Arrivata a casa ho cercato il santino di mia nonna, sapete quelle foto che a volte si danno ai funerali. Ho notato che le somiglio sempre di più. L’ho infilato nel portafoglio. (Nelle foto: mia nonna Ester e mio nonno Luigi che non ho mai conosciuto. E poi il pezzo che ho scritto per @vanityfairitalia su @crimanfredi e i suoi ponti)
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2 mesi fa
Grand Central Station è sempre stata uno dei miei posti preferiti di New York. Mi piace quel via vai sotto il cielo stellato dipinto sul suo soffitto, mi piace la gente che aspetta sotto l’orologio della biglietteria. Ho sempre pensato che fosse il posto perfetto per darsi appuntamenti fondamentali, tipo: se ci perdiamo, nella vita, rivediamoci lì. L’altro giorno sotto l’orologio vagava una ragazza piccolissima con un foglio in mano e una bambina piccola addormentata addosso. Sembrava sperduta e allora le abbiamo chiesto se avesse bisogno di aiuto. In spagnolo ci ha detto che doveva prendere un treno, il treno 7. Quella ragazza si chiama Maria, viene dall’Ecuador e ha camminato per 5 settimane con la sua bambina di un anno, Lucia, sulla schiena, e due borse di plastica, una per mano. Ha attraversato il confine con gli Stati Uniti e una volta intercettata sul territorio americano è stata messa su un pullman e mandata a NY: gli Stati del Sud da un po’ di tempo fanno così. Sul foglio c’era l’indirizzo di un albergo (il 7 non era un treno, ma una linea metropolitana) momentaneamente riconvertito in centro di accoglienza per migranti. Maria non conosceva nessuno, nessuno la stava aspettando da nessuna parte. L’abbiamo accompagnata alla banchina, dato quei pochi soldi contanti che avevamo. Mentre camminavano ho portato una delle sue borsine, era leggerissima. Mi ha fatto impressione che una vita potesse stare tutta dentro qualcosa di tanto leggero. Era tutto così piccolo (lei, la bambina, le borse) di fronte a quel gesto così grande di lasciare ogni cosa. E arrivare in quella città anche lei così grande. Le mie stupide e romantiche fantasie su Grand Central sono diventate un incontro talmente vero che fa un po’ male.
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3 mesi fa
Tre giorni fa ho fatto un sogno, nel sogno c’era un bellissimo cappotto nero, lo indossava una persona con cui avevo condiviso molto in passato, poi poco, poi nel presente niente. Succede, e ci si vuole bene lo stesso. Appena sveglia le ho scritto, l’ultimo messaggio - ho visto- era del 2018. Le ho scritto del sogno, e che era bella. Il messaggio è rimasto non letto per ore. A un certo punto ho digitato il suo nome su Google, la prima cosa che mi è comparsa è stata il suo necrologio. P. è morta a metà dicembre. Ho scritto a un paio di persone che la conoscevano, mi hanno detto che era successo tutto abbastanza in fretta, ma che era malata da anni e che non voleva parlarne. Non ha voluto parlarne fino a quando ha dovuto farlo. Oggi Kate Middleton ha detto di avere un cancro, che è stato uno shock scoprirlo, che ci ha, ci hanno messo del tempo a capire, pensare. La mia vecchia amica P non era destinata a nessun trono, e la sua figura non era pubblica, ma forse queste due donne hanno sentito lo stesso bisogno di silenzio, un silenzio che non va giudicato perché nessuno può attribuirgli un senso se non chi lo ha scelto fino a quando ha potuto.
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3 mesi fa
“È arrivata una neonata, è sola, e non ha una lunga prospettiva di vita”. Inizia così la storia di Letizia e Stella. Di Letizia che ha adottato Stella per farla uscire dall’ospedale e “farle sentire com’è l’erba di un prato” convinta che “se non si possono aggiungere giorni alla vita, si può aggiungere vita ai giorni”. Sicura che la maternità non passi necessariamente dalla pancia, e che essere madre e figlia possa voler dire anche essere socie, sentirsi forti insieme. Stella ora ha 3 anni, ha superato di 2 anni e nove mesi la sua aspettativa di vita iniziale. Letizia sa che l’orizzonte con lei è breve, si sposta piano. Non importa sempre guardare troppo in là, se qui è bello e si sta bene insieme.
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3 mesi fa
Quando, negli anni ottanta, lo vedevo camminare nei corridoi della mia scuola non potevo immaginare che un giorno ci saremmo trovati ai lati opposti di un tavolo, io a fargli le domande e lui a rispondermi. Roberto Vecchioni insegnava greco e latino al mio liceo, il Beccaria. Lo circondava una nuvola di fumo di sigaro e un’aura mitologica: era il prof che tutti sognavamo, e invece a noi era toccata in sorte quella che voleva tutto a memoria (ό, η, τό….). In tutti questi anni di onorata carriera ho fatto migliaia di interviste, le più emozionanti sono sempre quelle in cui qualcosa cambia e io non sono più la giornalista, ma divento qualcosa di diverso. In questa, finalmente, Vecchioni è diventato il mio prof e io la sua alunna. Grazie a F @sonolucadini @cristinaravanelli
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3 mesi fa
Abbiamo visto Wim Wenders e adesso sappiamo tutti che cos’è “Komorebi”, la luce che filtra attraverso le foglie. L’uomo che con la stessa meticolosità vive e pulisce i bagni pubblici giapponesi ci dice che praticare la cura è una cura. Francesca ha perso Noah (li vedete qui insieme) da nemmeno un anno: si è ucciso l’11 aprile, come Primo Levi. Ma lui aveva 14 anni. Quando, sotto il peso di questa scelta, il corpo di Francesca si è arreso ed è crollato per terra, la prima cosa che ha visto, riaprendo gli occhi, è stata la luce attraverso le foglie, il suo komorebi. Si è rialzata e nulla è stato più come prima non solo nel dolore, ma anche, sorprendentemente, nell’amore e nella cura. Il resto sono piume. Il pezzo, se volete leggerlo, è nella story. (Grazie Francesca, anche di aver consolato tu, me). @marchettisimone @antobussi @vanityfairitalia
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3 mesi fa
Domenica mattina
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5 mesi fa
Situazione: cammino senza ombrello ascoltando Masini
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5 mesi fa
Nel 2023 grazie a Voce ai Libri non c’è stato un giorno in cui non abbia letto. 47 libri, 47 storie ma soprattutto 47 incontri che nel silenzio delle cuffie sono diventati momenti intimi e caldi. Grazie a voi che li avete ascoltati e grazie alle scrittrici e agli scrittori che hanno parlato con me. Sara Poma, Silvia Bottani, Marco Drago, Niccolò Ammaniti, Rosella Postorino, Olga Campofreda, Monica Acito, Francesco Piccolo, Matteo B. Bianchi, Maria Castellitto, Antonella Lattanzi, Chiara Gamberale, Gaia Tortora, Franco Arminio, Roberto Tiraboschi, Annalena Benini, Gianfranco Vergoni, Greta Pavan, Camilla Ronzullo, Stefano Nazzi, Mariapia Veladiano, Maurizio de Giovanni, Marta Cai, Emanuele Altissimo, Francesca Giannone, Michele Turazzi, Peppe Fiore, Fabio Genovesi, Maurizio Amendola, Aurora Tamigio, Zineb Mekouar, Marco Rossari, Vincenzo Latronico, Francesco Pacifico, Federico Marchetti, Naoise Dolan, Greta Olivo, Emanuele Trevi, Alice Urciuolo, Paolo Cognetti, Veronica Raimo, Barbara Stefanelli, Enrica Tesio, Giuseppine Torregrossa, Donatella Di Pietrantonio, Lorenzo Biagiarelli, Vito Mancuso. Grazie alle persone che lavorano con me: Francesca Milano, Alex Peverengo, Rosa Uliassi, Luca Possi, Lucrezia Marcelli, Luca Micheli, Alessandro Palumbo
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6 mesi fa
La prima volta che ho visto Penelope Cruz di persona è stato in occasione del lancio di un rossetto. Il punto di rosso era perfetto, lei sorrideva molto. Tutti dicevano: farà strada. L’ultima volta che ho visto Penelope Cruz di persona è stato a Venezia, dopo la prima di un suo film. La casa di produzione aveva organizzato un party, c’era un sacco di gente, ma lei no. L’ho vista solo mentre stavo andando via: c’era sempre stata, ma era in una saletta, seduta a un grande tavolo con suo marito Javier Bardem e una decina di bambini; due erano i loro, gli altri erano i piccoli attori con cui aveva girato il film. Ridevano molto, i bambini e anche lei. Aveva fatto così tanta strada da potere quasi disertare una festa in suo onore. @vanityfairitalia 📷 @luigiandiango
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6 mesi fa