Ogni istante di questi 13 anni passati insieme sono stati ricchi di un amore puro e sincero.
Il vuoto che hai lasciato è incolmabile ma continuerai a vivere nel mio cuore e nei miei ricordi, PER SEMPRE.
Il mio non è un Addio ma un arrivederci perché lo so che la tua Anima continuerà a vivere a fianco a me per sempre.
Arrivederci Chicco e di nuovo grazie per tutto! ❤️
Da lassù sarai il mio Angelo Custode a 4 zampe ❤️😺
"Tommaso da Villanova, monaco agostiniano spagnolo, arcivescovo di Valencia dal 1544, fu tra i principali fautori della riforma del suo Ordine secondo gli indirizzi dottrinari ispirati al Concilio di Trento.Egli fu canonizzato da Alessandro VII° il primo Novembre 1658.
La sua canonizzazione fu immediatamente celebrata dalla comunità agostiniana di Napoli, che dedicò al nuovo Santo un altare della sua chiesa per il quale Giordano fu incaricato di eseguire questo dipinto.
Di quest'opera il De Dominici disse che era dipinta "alla maniera di Tiziano":
probabilmente lo stesso biografo aveva notato che, nel dipinto qui esposto, la figura del mendicante nudo in primo piano è un'esatta citazione di quella di San Lorenzo nel celebre Martirio del Santo di Tiziano, nella chiesa dei Gesuiti a Venezia.
In quell'anno, il 1658, il Giordano manteneva ancora vivi i ricordi del suo primo viaggio a Venezia:
gran parte delle opere da lui eseguite in questo tempo costituiscono le tappe di una progressiva traduzione in linguaggio barocco, della lezione appresa dai grandi Mestri veneti del Cinquecento.
Anche in questo dipinto, oltre la citazione tizianesca, l'ambientazione architettonica e il tono caldo, dorato, della luce, sono caratteristiche della prima fase neo-veneta".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 L'elemosina di San Tommaso da Villanova (1658), Luca Giordano.
📍Museo di Capodimonte.
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"Il tema del San Girolamo è stato ripetuto più volte dal Ribera sia in pittura che in incisioni.
Tra tutte le opere questo quadro è quello di composizione più matura e monumentale e di qualità più alta.
La figura del Santo è costruita in forma piramidale, di ampia base.
Le braccia alzate sottolineano alcune diagonali che l'angelo prolunga idealmente fino all'angolo superiore sinistro.
Parallelamente corre inoltre la linea che limita il grosso massiccio del fondo, attraverso il quale brilla un paesaggio luminoso.
In primo piano, violentemente illuminati, libri, una penna d'oca, un calamaio e una pergamena con caratteri ebraici.
Appena dietro il Santo, nella penombra, il leone.
Sopra una pietra emerge, intensamente illuminato, un teschio appoggiato su un libro.
È senza dubbio un'opera capitale di questa prima fase naturalistica del pittore.
Sebbene gli effetti luminosi, soprattutto in rapporto agli oggetti in primo piano, siano di stretta derivazione caravaggesca, il trattamento del colore, con sottili riflessi di tono e l'abilissimo uso di mosse di luci e di valori, così come l'esecuzione più delicata e attenta alle qualità mutevoli della materia, fanno di quest'opera capitale un passo in avanti definitivo nell'evoluzione del maestro ".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 San Girolamo e l'angelo del Giudizio (1626), Jusepe de Ribera.
📍Museo di Capodimonte.
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"La tela, prima del 1969, era sull'altare di un'antica cappella di origine angioina, detta di San Giuseppe a Pozzo Bianco, della cui origine ci da notizie il Celano.
L'opera è quasi certamente dedicata a San Nicola di Bari per il ruolo preminente che il santo vi assume.
Il Vescovo occupa il centro della composizione e rivolge gli occhi al cielo dove appare la Madonna col Bambino.
Alla sinistra di San Nicola c'è San Severo e alla destra San Gennaro cui, solo apparentemente, sembra rivolgersi il bambino che appare in basso, riccamente vestito, con nella mano destra un'anfora da cui ha appena versato del liquido in un calice che regge nella mano sinistra.
In sostanza si tratta di uno tra i più noti miracoli di San Nicola a cui alludono sia il bambino che gli oggetti da lui recati e per il quale il Santo, con gli occhi rivolti verso l'alto, sta ringraziando la Vergine e il Bambino.
L'episodio risale secondo la versione greca al IX°secolo:
protagonista è Basilio, figlio di un ricco signore di campagna, devotissimo a San Nicola.
In occasione della festa in onore del Santo i saraceni fecero prigionieri molti fedeli e con questi anche il giovane Basilio che fu donato all'emiro.
L'anno successivo i genitori, nonostante il dispiacere per il rapimento del figlio, vollero ugualmente onorare il Santo e festeggiarlo.
Durante la preghiera all'improvviso si compì il miracolo:
Basilio, vestito alla saracena, apparve tenendo in mano una coppa di vino.
Il fanciullo spiegò di essere stato come rapito da una forza misteriosa e portato in aria e, ancora recante la coppa tra le mani, si era ritrovato accanto al glorioso San Nicola che, prendendolo per mano, lo aveva condotto nel giardino della casa paterna".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 San Nicola tra i Santi Gennaro e Severo (1618), Filippo Vitale.
📍Museo di Capodimonte.
"Il celebre tema biblico, tratto dal libro di Giuditta, che narra dell'uccisione di Oloferne, generale di Nabucodonosor, re degli Assiri, che aveva cinto d'assedio la città di Betulia in Giudea, per mano della bella, virtuosa e ricca vedova della tribù di Simeone, fu più volte illustrata da Bernardo Cavallino in vari momenti della sua carriera pittorica.
Dell'episodio mise a fuoco il particolare in cui Giuditta, recisa la testa di Oloferne, la solleva in alto verso il cielo, proprio come il dipinto qui esposto.
Oppure il momento in cui l'eroina consegna il capo mozzato alla fantesca che le era al seguito, come nel dipinto presso Brinsley Ford a Londra, o ancora quando Giuditta è in meditazione, come nella versione del Museo Nazionale di Stoccolma.
Di un'altra composizione con la stessa eroina biblica e di eguale formato, indicata in un inventario del 1734 della raccolta Tarsia Spinelli e pure riferita al Cavallino, s'ignora purtroppo quale momento dell'episodio illustrasse".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 Giuditta con la testa di Oloferne (1645 circa), Bernardo Cavallino.
📍Museo di Capodimonte.
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"Questa tela è l'unica opera napoletana conosciuta di Juan Do:
il dipinto viene attribuito al pittore solo sulla fede del De Dominici che lo ricorda nella sacrestia della Pietà dei Turchini.
La ricostruzione dell'attività e della personalità artistica di Do si fonda, quindi, su questo dipinto.
La critica moderna è d'accordo nel considerare il pittore molto importante nel contesto della cultura napoletana della prima metà del Seicento.
Per il Causa l'Adorazione dei Pastori di Do si mostra "del tutto avulso dalle correnti formule del battistellinismo e del riberismo sempre più ricercato e intellettualistico " e si pone "a chiaro capofila di tutto il movimento di ripresa naturalistica" che fiorirà a Napoli durante il quarto decennio del Seicento.
Il Bologna sottolinea come l'Adorazione dei Pastori di Napoli, datata intorno al 1623, debba essere messa in rapporto soprattutto con la cultura di formazione del Do.
In particolare, cioè, con l'ambiente valenzano e toledano dell'inizio del secolo XVII, ovvero con i pittori Orrente e De Espinosa, artisti da un lato legati ancora alla pittura devozionale riformata di derivazione toscana, dall'altro aperti alle nuove esperienze del caravaggismo.
Sempre il Bologna nota nell'opera "una struttura non ancora riberiana" ma inoltre si può aggiungere che negli stupendi brani del pastore inginocchiato e dell'anziana donna, i personaggi sono resi con un naturalismo meno crudamente veristico, la Vergine e il Bambino secondo schemi ancora controriformati mentre altri particolari ricordano vagamente le primissime opere del Velazquez, intorno al 1618/1620".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 Adorazione dei Pastori (1623 circa), Juan Do.
📍Chiesa della Pietà dei Turchini, Napoli.
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"Il tema, per il suo significato allegorico morale, si inserisce in quel tipo di pittura devozionale caro alle direttive della chiesa controriformata che aveva favorito raffigurazioni come la Madonna del Suffragio, Tobiolo e l'Angelo e naturalmente l'Angelo Custode.
L'iconografia, assai frequente nella pittura della seconda metà del Cinquecento, venne ripresa nel Seicento dove il tema si prestava anche alla penetrante indagine naturalistica di ambito caravaggesco.
L'opera di Filippo Vitale produce una forte impressione per il grande formato e per la inusuale interpretazione dell'Angelo:
esso viene rappresentato come un giovane e vigoroso atleta dal volto fortemente caratterizzato per i lunghi e neri sopraccigli, il naso volitivo e il naturalistico taglio delle labbra, tipologicamente del tutto diverso dalle angeliche figure idealizzate che in genere figurano in questo tipo di composizione.
L'angelo, come il bambino dal nudo statuario, sono pezzi di verità naturale.
Ambedue rimandano, specie il bambino, a suggestivi ricordi dei michelangioleschi nudi della Sistina, interpretati caravaggescamente sui modelli del vero e restituiti alla vita di tutti i giorni.
Essi sono rilevati con grande precisione ottica, attraverso l'oggettivitá delle forme, dalla luce ferma e sicura che in questo dipinto gioca un ruolo di primissimo piano.
Anzi, è proprio la luce che regola la composizione e contribuisce a rendere più vere le stesse figure.
Sotto di loro il tentatore, la natura angelica privata della bontà, il simbolo del male, sconfitto nelle sue arti dalla fermezza della fede e dalla stessa fisicità dell'angelo".
📖 La civiltà del Seicento a Napoli.
📷 Angelo custode (1616/1618 circa), Filippo Vitale.
📍Chiesa della Pietà dei Turchini, Napoli.
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